26 luglio 2011

GRAZIE E ADDIO, SPACE SHUTTLE





Giovedì 21 luglio lo Space Shuttle Atlantis ha portato a termine la sua ultima missione, atterrando sulla pista del Kennedy's Space Center. Ed è finita un'epoca. O forse un'era. Siete ottantologisti di buona memoria, se avete sentito parlare almeno una volta di era spaziale: furono gli storici contemporanei a coniare quel termine, pensando che il futuro dell'uomo fosse indissolubilmente destinato a svilupparsi oltre la nostra atmosfera, a partire dal 1957, quando l'Unione Sovietica mise in orbita lo Sputnik, passando per la cagnolina Laika, Juri Gagarin e il 20 luglio 1969 (casualmente, o forse no, quasi lo stesso giorno dell'anno...), quando l'astronauta americano Neil Armstrong posò il suo piedone fasciato da uno stivale bianco sul suolo della luna. Poi sono arrivati i computer e internet e le fibre ottiche e gli storici hanno cambiato nome al periodo contemporaneo, ribattezzandolo era dell'informazione, scoprendo che uno spazio molto più infinito non era ancora stato esplorato, quello virtuale.
Il lancio dello Shuttle Columbia, nel 1981
Ma nel 1981 lo spazio era lo spazio. Noi bambini ottantologisti eravamo sazi di Goldrake, Mazinga e Jeeg, robot che bucavano l'atmosfera e combattevano nemici venuti dalle galassie vicine. C'era Star Trek e l'Enterprise era un meraviglioso disco bianco. C'erano la saga di Guerre Stellari e gli eserciti di navicelle di Gundam. C'era un sogno, e confinava con le stelle, quando la Nasa annunciò che era pronta a lanciare lo Space Shuttle: si chiamava Columbia, come Cristoforo Colombo, era bianco, come l'astronave del capitano Kirk, somigliava a un aereo un po' più panciuto, ed era in grado di atterrare su una pista appena più estesa di quella di un aeroporto, planando come una gigantesca, elegante aquila, dopo aver volteggiato in assenza di gravità sopra le nostre teste.
Era il 12 aprile 1981 e la Rai era schierata per la diretta via satellite del lancio. L'aereo con il pancione stava sulla distesa di Cape Canaveral, a muso in su, con un gigantesco serbatoio appiccicato sotto la carlinga e due missili ai lati. Seguimmo il conto alla rovescia con il fiato sospeso. E poi la partenza, circondata da un'immensa nube di fumo bianco, e poi i missili laterali che si sganciano, e poi l'enorme serbatoio. Bambini e adulti appiccicati alla tv facevano volare la fantasia, immaginando un futuro prossimo e avventuroso: atterraggi sulla luna ogni settimana, e poi la conquista di Marte e via, «fino ad arrivare dove nessun uomo è mai giunto prima» (avrebbe detto Kirk). E la tv trasmise e ritrasmise anche le immagini dell'atterraggio, con il Columbia che veleggiava vibrando verso la Terra.
L'esplosione dello Shuttle Challenger nel 1986

Poi arrivò il 1986. Era gennaio. Lo Shuttle era il Challenger e la sua missione faceva notizia perché a bordo c'era una donna, un'insegnante, che avrebbe anche tenuto una lezione di scienze in diretta dallo spazio. Invece, 73 secondi dopo il decollo, lo Shuttle esplose, in una nuvola di fumo bianco con scie di lapilli che sembravano fuochi di artificio, uccidendo i sette membri del suo equipaggio. Aveva ceduto una stupida guarnizione. Un pezzo all'apparenza insignificante, un granello di sabbia di traverso negli ingranaggi dei sogni dell'umanità. Come se la profezia di Space Oddity, la canzone di David Bowie, dovesse per forza avverarsi: «Il pianeta Terra è blu e non c'è nulla che io possa fare».
Le missioni ripresero solo due anni dopo, e non si sono mai più interrotte. Ma piano piano, anno dopo anno, lo Shuttle occupava meno spazio nei telegiornali. Come una routine senza più fantasia. Oggi, dopo 135 voli spaziali, è finito tutto. L'era spaziale ha cambiato nome. Infatti il video del volo dell'ultimo Shuttle lo ha condiviso Barack Obama su Facebook. E chissà se, come si chiede Amedeo Balbi, esiste ancora qualche bambino che, come noi ottantologisti, sogna di fare l'astronauta...

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